TRA IL BUIO E LA LUCE

testo critico di Tony Gentile

Quando Fabio mi ha chiesto se fossi stato disponibile a curare la mostra di questo suo progetto fotografico ho immediatamente risposto che non mi sentivo all’altezza di farlo. Ho esperienza decennale di editing ma principalmente basato sul mio lavoro o anche su quello dei colleghi del mio mondo fotografico, ovvero il fotogiornalismo di news.

Immaginare di mettere la mia esperienza a disposizione del lavoro di Fabio, un lavoro fotografico molto diverso dal mio, estremamente intimista, molto legato alle emozioni più che ai fatti, mi aveva instillato un grande dubbio “sarò capace di valorizzare il suo lavoro?”.

Poi, data la sua cortese insistenza, ho cominciato a osservare con più attenzione le fotografie, molte delle quale già conoscevo, e piano piano ho iniziato ad immaginare un allestimento. Foto dopo foto, persona dopo persona, storia dopo storia, alla fine Fabio mi ha convinto, anzi le sue fotografie mi hanno convinto.

Personalmente, così come credo succeda a moltissima altra gente, la cecità mi ha sempre fatto molta paura, io che ho vissuto di luce, l’ho usata e me ne sono nutrito per le mie fotografie, vivo con terrore l’idea di finire nel buio. Il buio è quello che la maggior parte di noi vedenti immagina sia l’effetto della cecità, ma i racconti di Fabio mi hanno fatto scoprire che dietro la cecità in realtà non c’è solo buio ma c’è anche tanta luce, e allora questa frase, questo dualismo, si è fatto strada sempre più prepotentemente nella mia mente e ha generato proprio il titolo da dare a questa mostra: tra il buio e la luce.

Sì, tra il buio e la luce, perché è proprio in questa condizione di mezzo che vivono la gran parte dei loro. Non “vedono” soltanto nero ma spesso una grande macchia di luce bianca, oppure vivono condizioni di impressioni cromatiche differenti, in base allo stato di cecità di cui sono affetti.

Le fotografie di questo progetto ci fanno vivere, seppure da una posizione privilegiata, la condizione di chi non ha mai visto o di chi, forse in modo più drammatico, ha perso e sta perdendo lentamente il contatto visivo con il mondo e deve resistere per restare aggrappato alla vita, ai colori, alle sensazioni che a volte a noi vedenti sembrano normali e troppo scontate ma che in realtà scontate non sono.

Ancora una volta Fabio con il suo lavoro fa i conti con il proprio passato, quello che lo ha visto crescere con il nonno non vedente e ancora una volta mette in evidenza la sua grande capacità di materializzare le emozioni.

Dopo la separazione dei genitori, per stare il più possibile vicino al padre, spende la maggior parte del suo tempo di bambino a casa dei nonni paterni e qui vive delle esperienze uniche proprio con il nonno Mariano, che aveva perso la vista all’età di 46 anni. All’epoca non era facile capire con certezza le cause che portavano alla cecità e suo nonno, uomo di grande fede cristiana, questo lo aveva sempre accettato con grande dignità. Rarissime volte Fabio lo ha visto reagire come se volesse ribellarsi a quella maledetta condizione che non gli aveva permesso di vedere gli occhi di sua figlia appena nata. I suoi ricordi sono ricordi semplici, di ragazzo che ama il nonno e forse ha difficoltà a comprendere fino in fondo il dramma della cecità ma che con lui faceva di tutto, le parole crociate, la schedina, la lettura del primo libro, Zanna Bianca, e soprattutto lunghe passeggiate. Nonno Mariano si fidava di Fabio più che del suo bastone bianco. Ma forse la cosa che maggiormente oggi lo lega al nonno è l’amore per la radio e non sarà un caso se anche io ho imparato a conoscere ed amare la radio da un mio familiare, lo zio Natale, anche lui cieco e con un enorme sorriso sempre stampato in viso.

L’allestimento di questa mostra è stato un gioco da ragazzi, ci siamo divertiti ad immaginare situazioni choc, a volte quasi psichedeliche, che provassero a farci entrare, anche solo per un attimo, nel mondo dei ciechi, nella loro visione che non è fatta solo di buio, solo di nero ma a volte anche di grandi macchie di colori forti. E poi ci sono i ritratti di Samuel, Sanjida, Graziella, Mario, Brando, Margherita Caterina, Lilli e tanti altri, tutti pazienti dell’istituto Sant’Alessio che da anni si occupa di ogni forma di assistenza per i ciechi.  Anziani, giovani o bambini, non sembra esserci differenza tra loro ma forse sono proprio questi ultimi che, personalmente, mi fanno più tenerezza.

Dietro questi ritratti, combinati in serie proprio per sottolineare e rendere ancora più forte la condivisione di una condizione umana penalizzante, ci sono tante storie personali che Fabio conosce alla perfezione, le vite e i drammi non solo dei soggetti ritratti ma anche delle loro famiglie.

Il lavoro di Fabio, anche in questo caso, mi ha aiutato a guardare dove io non riesco a guardare, a leggere dove io non riesco a leggere, esattamente come un cane guida aiuta il suo padrone a vedere dove da solo non può vedere ma dove sicuramente riesce a percepire nuove e grandi emozioni.