Un senso dell’acqua si può?

Capisci che “Gioele, il mondo fuori” non è un libro qualunque appena lo prendi in mano: ti sembra di toccare uno dei tanti animali che Gioele chiede a Fabio di comprare nei suoi messaggi WhatsApp.

Fabio Moscatelli, fotografo romano orgogliosamente di Tor Bella Monaca, e Gioele, ragazzo autistico neodiciotenne, sono i protagonisti di un’amicizia “straordinariamente normale” che trova la sua naturale espressione in questo libro, il cui progetto è stato curato dalla sapiente mano di Irene Alison (Doll’s Eye Reflex Laboratory)

“Ho conosciuto Gioele per caso, tramite amicizie comuni avevo in mente un progetto con al centro l’autismo e sull’argomento non ne sapevo proprio nulla. Mai, però, avrei immaginato che questo incontro si sarebbe trasformato in un rapporto così forte, che nel tempo è andato oltre”.

All’interno del libro le fotografie vengono inframezzate da disegni o screenshot del cellulare, opere letterali nell’opera fotografica, che ci portano all’interno della vita di Gioele: un mondo fatto di sensi che anche la scienza fatica a comprendere pienamente.

UN SENSO DELL’ACQUA SI PUO’ MA” scrive Gioele in uno di questi suoi disegni commentando quella che lui definisce “L’ACQUA LIQUIDA”; accanto al disegno una fotografia straordinaria delle sue mani che affiorano dalla superficie del mare, durante una delle giornate passate insieme a Fabio.

Un senso dell’acqua si può?

Dev’essere questa una delle mille domande che si è posto Fabio Moscatelli nel raccontare gli anni dell’adolescenza di Gioele. Come tradurre in immagine qualcosa che persino la medicina ha difficoltà ad approcciare? La risposta è nelle fotografie di questo libro.

Un dito indica il cielo, un cavallo si libra tra le nuvole, il bradipo Sid vola con un razzo sulla luna, una foglia appassisce nella neve: l’inizio del libro è una sequenza continua che ci catapulta in un mondo surreale in cui tutto è sensazione.

Il grande merito di Fabio Moscatelli è quello di mostrarci “un bambino come gli altri”, di non scendere nel pietismo, nella compassione. Sfocature, mossi, riflessi, ostacoli, espressioni di quello che Simone Azzoni, nella postfazione, definisce “uno scatto sghembo e impuro che nega una consolazione”.

E quindi eccolo Gioele, apparire con la corona in testa, re di questa storia come il suo amato leone è il re della foresta (con il leopardo sia ben chiaro). Due gambe troppo grandi per quel triciclo, un corpo troppo cresciuto per quella giostra, un’età troppo avanzata per quel saltare su un materasso con Syria, la figlia di Fabio.

Ma è davvero così? Forse la realtà ci appare in questo modo perché abbiamo rinunciato al Gioele che è in noi?

Quando abbiamo deciso che quel triciclo era troppo piccolo, che quella giostra era troppo stretta? Quando abbiamo smesso di saltare sul materasso?

La grande forza di questo libro è quella di farci ritornare a sognare, di spingerci a ritrovare il contatto con i nostri desideri, con una parte della nostra vita che avevamo dimenticato.

E si, anche di interrogarci sul senso dell’acqua.